Una “MODA” emotivamente intelligente: Il valore del consenso generale
Articolo di Noemi Cifali
Abstract
L’Intelligenza Emotiva rappresenta un’area di indagine relativamente nuova e per questo ancora ricco di controversie, ma di crescente rilievo nella letteratura scientifica. L’interesse per la tematica trova spiegazione nel riconoscimento dell’importanza rivestita dall’I.E. per gli individui in termini di benessere psicofisico.
La funzione adattiva rivestita dagli stati affettivi e dalle esperienze emozionali si esplica dunque sin dai primi momenti di vita del bambino e si sviluppa gradualmente nel corso dei primi anni di vita (Denham,1986; Izard, 1994; Saarni, 1999), ed in concomitanza allo sviluppo dei processi cognitivi quali il pensiero, la memoria e l’apprendimento (Davidson, Jackson, & Kalin, 2000).
Le prime interazioni emotivamente connotate risultano essenziali per lo sviluppo della personalità del bambino, nonché per il suo stato di salute generale ed altresì si rivelano cruciali per iniziare il bambino a saper star bene con gli altri (Bombi, & Pastorelli, 2005). È proprio nell’età prescolare e scolare, con l’ingresso in un nuovo contesto relazionale, che il bambino è chiamato a utilizzare le prime competenze acquisite per muoversi socialmente in mezzo agli altri, leggere e decodificare le informazioni sociali secondo una grammatica condivisa (Caprara, 1992) e regolare le proprie emozioni.
Ma, se l’ingresso a scuola rappresenta un’importante palestra per esercitare le proprie capacità sociali, non sorprende al contempo che questo possa coincidere con il manifestarsi di possibili complessità emotive legate ad una scarsa capacità di regolare le emozioni nelle relazioni con i compagni, o nel gestire possibili difficoltà scolastiche, che se non corrette tempestivamente e adeguatamente possono dar vita a circoli viziosi duri a spezzarsi (Eisemberg, 2004). Esiste un discreto riscontro sul fatto che si possa insegnare a conoscere le emozioni (Greenberg, Weissberg, Brien, & Zins, 2003), e quindi ampliare le conoscenze emotive per migliorare l’intelligenza emotiva, nonché lo stile di vita e di benessere.
Tuttavia, l’opportunità di attuare programmi di intervento a sostegno dell’educazione affettiva, va supportata da strumenti capaci di misurare preliminarmente i livelli di prestazioni di intelligenza emotiva nei bambini, ed altresì capaci di monitorare e comprovare l’effettiva consistenza dei vantaggi dovuti alle capacità emotive rispetto agli esiti nell’area scolastica e sociale. Di seguito verrà presentato un primo lavoro di validazione delle proprietà psicometriche del software: “Sviluppare l’intelligenza emotiva”.
Introduzione
“Ciascun individuo dispone di tutte le intelligenze, ma si differenzia dagli altri individui per il profilo intellettivo che, in virtù dell’influenza genetica ed esperienziale, presenta aree di forza e aree di debolezza… Se l’individuo lo desidera, molteplici intelligenze possono essere finalizzate al raggiungimento degli obiettivi… focalizzarsi sul potenziale umano e sul modo in cui questo possa esser usato al meglio” Gardner, Formae Mentis, 1995.
Questa nuova modalità di interpretazione multidimensionale della mente, oltre a diventare una pietra miliare negli studi sull’apprendimento e a destare grande interesse in campo educativo, conferisce nuova dignità alla sfera emotiva che, non più subordinata a quella razionale, partecipa a pieno titolo, grazie ad una particolare intelligenza, allo sviluppo della persona.
In questa originale visione si possono rintracciare le premesse teoriche che, intorno agli anni Novanta, ispirano la riflessione teorica di Salovey e Mayer, i primi ad aver iniziato l’interessante ma controversa tradizione sugli studi dell’Intelligenza Emotiva.
L’aspetto sicuramente innovativo operato dai due autori è stato d’aver cercato di far confluire nella definizione di I.E. due tradizioni di ricerca usualmente indipendenti, articolando la loro teoria di Intelligenza Emotiva su specifiche idee chiave.
Dalla letteratura dell’intelligenza, il modello di Abilità di I.E. condivide l’idea che l’intelligenza coinvolge soprattutto la capacità di ragionamento astratto, invece dall’ambito di ricerca sulle emozioni, trae l’idea che le emozioni sono segnali che conferiscono significati costanti e ben discernibili sulle relazioni umane (Mayer, Salovey, & Caruso, 2002).
Il modello di Abilità di Mayer e Salovey risulta il più convincente, completo e strutturato, supportato da numerosi studi psicometrici e revisioni periodiche che, tra il 1995 e il 1997, inducono Salovey e Mayer a ridefinire i confini del termine, proposto precedentemente, chiarendo le abilità in esso coinvolte (e identificando quelle non incluse).
Il tratto distintivo di questo modello consiste nell’intendere l’Intelligenza Emotiva effetto dell’interazione tra meccanismi emotivi e cognitivi di base, senza alcun coinvolgimento di altri aspetti quali la motivazione o i tratti di personalità. L’E.I. viene dunque concettualizzata, dagli autori, come una capacità di processare in maniera adeguata informazioni emotive e di utilizzarle, in associazione alle attività cognitive, per agire adeguatamente nell’ambiente.
Nel modello attuale l’I.E viene definita dagli autori come un set di abilità cognitive di elaborazione dell’informazioni di tipo emotivo-affettivo, riguardanti sia la sfera personale che interpersonale; tali abilità vengono suddivise inoltre in quattro domini principali, ordinati gerarchicamente: percepire, valutare ed esprimere le emozioni; usare le emozioni per facilitare il pensiero; capire le emozioni nelle diverse situazioni sociali; gestire e regolare le emozioni.
Dal 1997 ad oggi si è assistito ad una proliferazione di studi empirici nell’area dell’I.E., ed in poco tempo il settore si è arricchito di nuovi contributi: dagli studi di Bar-On (1997, 2001), alla pubblicazione del best-seller di Goleman, dal grande riscontro mediatico (1995). Goleman (1995) identificò in gran parte l’intelligenza emotiva con le abilità sociali, così che in poco tempo l’I.E. assume un significato molto più ampio nella mente del pubblico di quanto non fosse stato elaborato dalla letteratura scientifica.
Le costruzioni teoriche dei vari modelli e i risultati empirici non hanno ancora raggiunto, allo stato attuale delle conoscenze, un sufficiente grado di coerenza e condivisione da parte dell’intera comunità scientifica, inoltre, i risultati emersi dalle ricerche sembrano evidenziare come le diverse definizioni siano prevalentemente legate agli strumenti utilizzati, piuttosto che ai modelli teorici di riferimento.
La possibilità e la modalità attraverso cui l’intelligenza emotiva si può misurare appare un tema piuttosto spinoso, in quanto le differenze che esistono sul piano concettuale tra i diversi modelli teorici, si riflettono inevitabilmente nei differenti approcci con cui viene operazionalizzata e misurata l’Intelligenza Emotiva. Negli ultimi anni si è assistito ad un ampio dibattito sull’approccio più appropriato per la misurazione dell’E.I., causato dal diffondersi di sempre più strumenti di valutazione, che differiscono tra loro oltre che per i riferimenti concettuali, anche per l’approccio di misurazione adottato (Goldenberg Matheson, & Mantler., 2006; Austin, 2004; Austin & Saklofske, 2005). Nella prospettiva psicometrica sono ravvisabili sostanzialmente due metodi: self report vs peformance (Matthews, Zeidner, & Roberts, 2002).
I fautori del modello di Abilità si servono di strumenti basati sulla performance, che seguono criteri di valutazione oggettivamente predeterminati, puntando a misurare la capacità del soggetto di risolvere compiti che coinvolgono abilità emotive. Ma, se è vero che, come postulano Mayer e Salovey, il modo in cui ciascuno esperisce e regola le emozioni riflette una vera e propria forma di intelligenza, che ha pari dignità delle intelligenze classicamente intese, è pur vero che le prove utilizzate per misurare tale intelligenza rispondono a chiari criteri di oggettività, proprio perché nella maggior parte dei casi esiste una sola risposta universalmente corretta. Stessa cosa non può dirsi per le prove di I.E.. Nel campo delle emozioni possono infatti esistere diverse sfumature soggettive di percezione che non consentono di indicare come corretta una risposta in modo del tutto definito. La soggettività dell’esperienza emotiva rappresenta, dunque, un ostacolo di misurazione, insito nel concetto di I.E..
Per aggirare la complessità di trovare un accordo sui metodi di attribuzione dei punteggi alle varie prove di abilità vennero inserite, nel corso delle revisioni degli strumenti esistenti, procedure di scoring in grado di rilevare le opinioni maggiormente ricorrenti tra le varie alternative. La soluzione a questo tipo di problema, elaborata dagli Autori in seguito ad una revisione del MSCEIT (strumento di misurazione dell’I.E. rivolto ad adulti), si configura con l’adozione del criterio del consenso, che permette di definire il grado di correttezza di una risposta in relazione alla percentuale dei soggetti che sceglie quella data risposta. Ad ogni item del test, quindi, viene assegnato un valore proporzionale alla percentuale di persone del campione su cui è raccolto il consenso che ha selezionato quella risposta (questa procedura è valida sia per il consenso generale che esperto).
Nella prospettiva del consenso, dunque, un soggetto emotivamente intelligente non è, come accade in altri test di performance, più abile di molti altri e quindi al di sopra della media statistica; egli è piuttosto un soggetto che si trova nella moda statistica, in quanto risolve una serie di situazioni di problem-solving emotivo in maniera analoga alla maggior parte della popolazione (D’Amico, 2013).
Sebbene la ricerca nel campo dell’E.I. ha raggiunto progressi sostanziosi grazie all’introduzione dei primi modelli, d’altro canto si trova ancora ad un livello relativamente precoce per quel che concerne lo sviluppo di strumenti di misurazione idonei (Davey, 2005).
Nonostante il fascino esercitato dal concetto di I.E., la costruzione e la sperimentazione di strumenti di valutazione e di intervento su tali abilità è ancora agli inizi, soprattutto nel nostro Paese.
Ma, la carenza di strumenti adeguati è ancor più evidente in età evolutiva ed adolescenziale, nonostante sia stata dimostrata la fondamentale importanza di comprendere l’evoluzione e l’importanza di questa abilità nel corso dello sviluppo.
Proprio in questa direzione si colloca il presente lavoro, nato dall’esigenza di voler colmare la carenza di strumenti di valutazione di I.E. pensati unicamente per bambini di età scolare e prescolare. Validare in maniera preliminare il software “Sviluppare l’Intelligenza Emotiva” (originariamente nato come strumento di training e potenziamento) come dispositivo idoneo a misurare la prestazione di I.E. in bambini di età scolare, è stato l’obiettivo principale del lavoro di seguito presentato.
Materiale
È stato per l’appunto utilizzato il software “Sviluppare l’Intelligenza Emotiva. Test e training per percepire, usare, comprendere e gestire le emozioni” (D’Amico & De Caro, 2008), già presente in commercio come supporto di potenziamento delle abilità emotive. Il cd-rom si compone di un modulo di assessment ed uno di training, finalizzati rispettivamente alla valutazione e al potenziamento delle sottoabilità dei quattro rami dell’ability EI di Mayer, Salovey e Caruso (1997) (percezione ed espressione delle emozioni, comprensione delle emozioni, utilizzo delle emozioni per facilitare alcune attività cognitive, gestione delle emozioni in se stessi e nelle relazioni interpersonali).
Al fine di rendere piacevole e divertente per i giovani utenti l’intero percorso interattivo, sono stati ideati e realizzati quattro personaggi-guida, dalla grafica colorata e divertente, che rappresentano per l’assonanza o l’etimologia dei loro nomi, gli altrettanti rami di abilità dell’intelligenza emotiva. Loro sono: Pircipò (Percezione), Utor (Uso), Captilla (Comprensione) e Gerì (Gestione), ed insieme formano “La banda del cuore”:
L’inclusione di un’iniziale fase dedicata all’assessment permette di ottenere una prima valutazione baseline della prestazione del soggetto che sarà poi confrontata con la performance dello stesso, dopo aver completato il percorso di potenziamento. Il training, strutturato in modo tale da far esercitare l’utente sulle quattro aree dell’intelligenza emotiva, è dotato di un sistema di feedback che guida l’utente sostenendolo durante le attività. Oltre un certo numero di errori, il sistema propone all’utente anche una correzione automatica dove vengono visualizzate le risposte esatte.
Poiché pensato semplicemente per delineare una baseline delle abilità emotive del soggetto prima di avviare il trattamento, il test di valutazione non dispone attualmente di alcuna validazione psicometrica.
In questa sede si intende, dunque, procedere con una prima validazione psicometrica dello strumento per verificarne le proprietà di misurazione, utilizzando la stessa procedura metodologica originariamente concepita per la validazione del MSCEIT e successivamente impiegata nell’IE-ACCME.
Procedura
Al fine di creare il consenso generale, indispensabile per ricavare il valore da attribuire a ciascuna alternativa di risposta proposta, è stato selezionato un primo campione normativo e rappresentativo della popolazione cui è rivolto lo strumento.
Ai soggetti selezionati è stato chiesto di svolgere, individualmente, il modulo di assessment del software in questione, cosi da ottenere non solo una misura della prestazione di ciascun bambino, ma anche il grado di accordo che questi hanno raggiunto in ciascun delle 27 prove. Tutto questo è stato possibile mediante l’impiego di specifiche funzioni statistiche che hanno permesso di leggere opportunamente i dati raccolti e di confrontare questi ultimi con quelli elaborati, al momento della realizzazione, dagli esperti, nonché dalle stesse autrici del software.
Partecipanti
Il campione che ha preso parte alla ricerca è composto da 155 alunni appartenenti a cinque diverse scuole ubicate nel territorio di Palermo ed Enna. I soggetti, equamente distribuiti per genere (84 M e 71 F), con una leggera predominanza maschile, hanno un’età media di 10,19 anni (DS= 1,24).
Al fine di soddisfare la fascia d’età a cui è indirizzato il suddetto test sono state selezionate le classi appartenenti a tre diversi gradi di istruzione. Si sono, dunque, considerate le quarte (N= 50) e le quinte (N = 43) classi della scuola primaria di primo grado e le prime classi (N= 62) della scuola secondaria di primo grado. Anche in questo caso i soggetti sono equamente ripartiti.
Discussioni
L’utilizzo di diverse funzioni statistiche ha permesso di indagare le caratteristiche psicometriche dello strumento che si sono analizzate in questa sede, sebbene in via del tutto preliminare.
I valori emersi offrono un’importante spunto di riflessione, se si considera che le risposte selezionate dal campione, nel compito di facilitazione e gestione personale, non riflettono le risposte indicate dagli esperti che, nonostante l’evidente differenza di età rispetto al campione, hanno cercato di approssimarsi quanto più alle potenzialità tipiche dei bambini di quest’età.
Inoltre, poiché le autrici hanno proposto situazioni problematiche semplici e pertinenti a questa fase evolutiva, si può considerare che i risultati non riflettono che un livello emotivo ancora immaturo nei bambini di questa età, i quali seppur capaci di riconoscere correttamente le emozioni (semplici e complesse) e comprenderne l’origine o la loro possibile trasformazione, in seguito alle circostanze situazionali, sono però prevalentemente incapaci a fronteggiare efficacemente le situazioni emotivamente pregnanti e, altresì, di servirsi delle emozioni per ragionare e riconsiderare il problema presentato da una diversa prospettiva per giungere ad una soluzione creativa.
In linee generali comunque il sistema di scoring basato sul consenso del campione esaminato sembra possedere proprietà statisticamente accettabili come dimostrato dalle correlazioni medio-elevate con il consenso esperto. Questo fa presupporre che lo strumento proposto dagli autori per indagare specifiche abilità emotive è consono per i bambini di età compresa tra gli 8 e 14 anni perché in grado di rispecchiare il loro livello di abilità attraverso prove commisurate allo specifico livello di sviluppo.
Dal confronto tra i generi non emergono differenze significative tra i maschi e le femmine, questo è in linea con l’ampia letteratura presente in merito, che asserisce come le prime discrepanze cominciano ad evidenziarsi nella tarda infanzia e in adolescenza.
Anche dal confronto tra le classi non si riscontrano importanti differenze di prestazione ad eccezione dei livelli di riconoscimento visivo, gestione personale ed area strategica che risultano più elevati nella classe IV rispetto alle altre due. Questo effetto può esser spiegato dall’influenza esercitata delle condizioni socio-economiche dell’ambiente in cui gli alunni sono inseriti.
La scuola, dalla quale sono state selezionate le classi in questione, accoglie infatti bambini appartenenti a famiglie con uno status socio-economico ed un livello di istruzione più elevato rispetto alle altre scuole. Come supportato dai numerosi studi in questa direzione, sia in campo neuropsicologico che evolutivo, la presenza di un ambiente arricchito, che fornisce continui stimoli e spunti conoscitivi, momenti di riflessioni ed opportunità di confronto, risulta determinante per affinare le capacità intellettive del bambino ed accelerarne i processi di maturazione.
Conclusioni
In conclusione, poter disporre di uno strumento di misurazione dell’Intelligenza Emotiva ed appropriato per bambini di età compresa tra 8 e 14 anni permette di poter ottenere conoscenze in merito al trend evolutivo dell’ I.E., evidenziare eventuali differenze di genere e ricavare potenziali momenti critici nel corso dello sviluppo.
Quanto detto può essere compreso appieno se si riesce ad avere consapevolezza di quanto siano onnipresenti le abilità emotive, in qualsiasi momento della quotidianità, e quindi quanto sia indispensabile guidare sin da piccoli i bambini in comportamenti e ragionamenti emotivi adeguati alle diverse situazioni.
Riuscire a percepire e riconoscere correttamente i segnali emotivi provenienti dalle espressioni facciali, dal tono di voce o da altri comportamenti non verbali dell’interlocutore; comprendere come ciascuna emozione si genera, si trasforma e si mescola ad altre; così come riuscire a comunicare utilizzando un corretto lessico emotivo e servirsi delle proprie emozioni per facilitare la risoluzione o la ristrutturazione del problema; ed infine gestire le emozioni in maniera auto regolativa, senza reprimerle, ma piuttosto canalizzandole in azioni meno eccessive, significa ed implica principalmente saper stare con gli altri.
Tutto questo è intelligenza emotiva, o più comunemente riconosciuto come indispensabile premessa per il benessere della persona, il cui nesso con gli esiti delle traiettorie evolutive e di adattamento sociale è innegabile.
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Noemi Cifali
Dott.ssa in Psicologia Clinica dell’arco di vita
Il lavoro è tratto dalla Tesi di Laurea in Psicologia Clinica dell’Arco di Vita, dal titolo “Prima validazione psicometrica del software: Sviluppare l’Intelligenza Emotiva”
Università degli Studi di Palermo | A.A. 2012-2013 | Relatore: Dott.ssa Antonella D’Amico