
La più comune forma di deterioramento mentale è la demenza di Alzheimer, processo degenerativo che distrugge le cellule cerebrali in modo lento e progressivo. Essa prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 ne descrisse per primo gli effetti e gli aspetti neuropatologici, (Alzheimer Italia, 1999).
Oggi circa il 60 – 70% di tutti i casi di demenza sono dovuti al morbo di Alzheimer, circa il 5% della popolazione sopra I 65 anni di età ne è affetta e il rischio di ogni soggetto in età senile di divenire demente è oggi calcolato nell’ordine del 20%. Infatti, a partire dai 75 anni l’incidenza della malattia aumenta del 2% all’anno, mentre meno del 1% degli individui al di sotto dei 65 anni ne risulta affetto.
La malattia di Alzheimer non colpisce solo la persona malata ma tutto il nucleo familiare, il carico emotivo sopportato dai familiari che si prendono cura del malato di Alzheimer è elevatissimo.
Nell’arco dei primi sei mesi dal momento della diagnosi, i familiari, o coloro che si prendono cura del malato, attraversano tre fasi:
- Reazione emotiva, in cui si tenta di gestire e/o scaricare, anche fisicamente, l’ansia generata dall’ evento stressante;
- Elaborazione cognitiva, durante la quale si cerca di spiegare le cause, il perché della comparsa della malattia nella propria famiglia, si cercano “le colpe”, si prova a negare la malattia sperando che passi;
- Ristrutturazione, in quest’ultima fase i familiari arrivano all’accettazione sofferta e in parte rassegnata della malattia e dei suoi limiti con una forte attenzione alla valorizzazione delle risorse rimaste.
Dal punto di vista emozionale, i familiari possono sperimentare:
Rabbia, poiché non si rendono conto della gravità del problema e non comprendono il motivo per cui il familiare demente attui dei comportamenti incongrui, pur stando apparentemente bene;
Depressione e angoscia, tipiche di qualunque esperienza di perdita, (si sente di aver perso il familiare), sono particolarmente intense nel momento in cui il malato non riconosce più i propri cari;
Impotenza e senso di colpa, per non aver potuto fronteggiare e risolvere il problema e per la stanchezza fisica e psicologica associata al prendersi cura del malato;
Solitudine, sentimento proprio di tutte le famiglie toccate da un evento non normativo. Tutto ciò comunque maschera un più o meno inconscio rifiuto della malattia;
Successivamente, insieme alla consapevolezza, i familiari sperimentano un’esperienza di perdita, un lutto, che precede il momento della morte del congiunto e risale al momento in cui inizia a disintegrarsi la personalità del soggetto, si vive una perdita progressiva della persona cara che viene sempre meno riconosciuto; ciò è fonte di stress e depressione.
La principale implicazione a livello delle dinamiche relazionali riguarda la riorganizzazione dei ruoli familiari. Se il caregiver principale è il coniuge, questi sarà considerato dal malato come un genitore, con tutte le conseguenze che tale modificazione di ruolo può comportare. In caso di vedovanza, in cui, in genere, i figli si prendono cura del genitore, i ruoli vengono invece invertiti.
Nelle fasi terminali della malattia può essere richiesta l’istituzionalizzazione del paziente e questa rappresenta per i familiari una delle più difficili decisioni da prendere. Si riscontrano spesso sentimenti ambivalenti, da una parte la stanchezza per l’assistenza fornita fino a quel momento, dall’ altra il senso di colpa e la sensazione di aver abbandonato il familiare.
Anche il momento della morte è contraddistinto da sentimenti ambivalenti che vanno in genere dallo shock, al sollievo, alla tristezza, ma generalmente presto giunge una accettazione della morte e si ritorna a ricordare la persona così come era prima della malattia.
Appare indispensabile, quindi, offrire ai familiari di questi soggetti il supporto psicologico adeguato, che aiuti a gestire l’enorme carico emotivo-affettivo che questa malattia comporta, perché la qualità della vita del paziente dipende in gran parte da quella di coloro che si prendono cura di lui e di come questi simbolizzano la malattia.
SUGGERIMENTI UTILI: COME COMPORTARSI CON IL MALATO
1. Riprogrammare la vita:
Le persone affette da demenza necessitano di assistenza in maniera sempre maggiore con l’avanzare della malattia. È necessario trovare delle modalità adeguate di affrontare la malattia che consentano a chi assiste di riadattarsi alla nuova situazione e di ristabilire l’equilibrio; ciò può anche comportare un radicale cambiamento dello stile di vita che favorisce la nascita di tensioni e conflitti, la perdita della la privacy e la riduzione delle attività sociali per mancanza di tempo. Confrontarsi frequentemente con il medico di fiducia o la struttura clinica di riferimento, sia per affrontare adeguatamente i problemi propri della malattia, sia per ricevere appoggio e sostegno per vincere lo sconforto e il senso di impotenza, può risultare necessario.
2. Comunicare al malato:
Le persone affette da demenza diventano via via sempre meno capaci di comprendere adeguatamente quanto gli viene detto. E’ opportuno, dunque, modificare di volta in volta il modo di comunicare in base alle capacità di comprensione del malato. Ad esempio, utilizzare il contatto fisico più delle parole, non mettere in evidenza che la persona era in grado di fare alcune cose che ora non riesce più a portare a termine, oppure non redarguire il malato per mancanza di volontà o di impegno.
3. Come affrontare i disturbi comportamentali:
E’ necessario ricercare dietro il comportamento, ciò che ne è la causa e non soffermarsi semplicemente sulle azioni che il malato manifesta. Spesso, ad esempio, questi soggetti chiedono di “tornare a casa propria”. Questa richiesta, il più delle volte, cela un bisogno di sicurezza, di conforto da parte del malato, che sperimenta confusione e disorientamento. Per questo dire ad esempio: “ma tu sei già a casa tua”, può acuire la sua confusione e renderlo più irritato e irrequieto. In questi casi risulta utile invece, abbracciare rassicurare, dimostrare affetto. E’ inoltre utile, garantire al malato un ambiente confortevole, non chiuso o angusto in cui abbia la possibilità di muoversi liberamente e non eccessivamente rumoroso. E’ utile infine non cambiare spesso ambiente o figure di riferimento che si occupano della sua assistenza.
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