
Un primo passo per sviluppare buone capacità di percezione, è cercare di porre attenzione alle espessioni del volto, osservare i segnali non verbali e ciò che sta attorno a noi.
Luca: «Spesso sbaglio nel valutare le persone e i loro stati d’animo, assumo comportamenti fuori luogo per certe circostanze…».
Maria: «L’esame è andato male, sapevo tutto ma sono stata sopraffatta dall’emozione»!
Sonia: «A volte non trovo le parole giuste per esprimere quello che sento, e finisco per rovinare i rapporti con le persone a cui tengo o per perdere importanti opportunità…».

Quante volte abbiamo pensato o abbiamo sentito frasi simili? In quante occasioni pensiamo che alcuni hanno grandi potenzialità e competenze ma non riescono a metterle in gioco per raggiungere adeguati livelli di benessere? Come è possibile che persone intellettualmente brillanti falliscano rovinosamente nella gestione delle relazioni interpersonali?
Da alcuni anni, la risposta a queste domande è univoca: essere intelligenti non implica necessariamente essere emotivamente intelligenti.
Che cosa è, ma anche che cosa non è, l’intelligenza emotiva? Secondo i pionieri del campo, Peter Salovey e John D. Mayer, psicologi delle Università di Yale e New Hampshire, l’intelligenza emotiva è l’insieme di quattro abilità cognitive che consentono di percepire, utilizzare, comprendere e gestire informazioni non razionali.

Percepire le emozioni significa in primo luogo coglierle nei volti degli altri. Se è vero che le espressioni degli stati d’animo sono facilmente individuabili, è anche vero che non sempre è facile cogliere le sfumature nell’espressione facciale, soprattutto nei casi in cui cerchiamo di nasconderci. L’emozione di un volto può durare un istante, e solo una particolare attenzione ci rende in grado di coglierla. La percezione non si limita poi alla sola analisi delle espressioni facciali; tutto l’ambiente intorno a noi è carico di informazioni, che vengono elaborate attraverso i nostri sensi e che veicolano sensazioni: i colori, le forme, i suoni, le melodie, gli odori, il dolce, il salato, il freddo e il caldo…
Un primo passo per sviluppare buone capacità di percezione, è cercare di porre attenzione alle espressioni nel volto, osservare i segnali non verbali e ciò che sta intorno. Importante è costruire intorno a sé un ambiente che risponda alle nostre esigenze di armonia. Scegliere la giusta luminosità, le forme, i suoni, gli odori e i sapori, consapevoli che attraverso questi elementi regoliamo il nostro benessere e comunichiamo agli altri una serie di informazioni emotivamente salienti.
Dopo aver superato questo primo livello, costruiamo l’abilità di utilizzare le emozioni. Un compito non facile, dato che siamo abituati a pensare che esse siano un ostacolo al pensiero, una sorta di valanga che ci investe, più o meno rovinosamente, a seguito di certi eventi. Per riuscire a pensare in maniera intelligente, dobbiamo imparare a usare le emozioni come se fossero spezie: bisogna metterne la quantità giusta e scegliendo l’aroma migliore. Se ben scelte, queste sensazioni possono essere facilitatori dei processi di pensiero, e non ostacoli. Se stiamo affrontando una gara o una prova importante serve energia e grinta. Se stiamo cercando di consolare un amico che ha subito una perdita, serve calma e compassione. Impariamo a utilizzare efficacemente emozioni e stati d’animo, anche quelli negativi: non aver paura che l’ansia possa prendere il sopravvento nell’affrontare una situazione molto importante, non sprecare tutte le energie per cercare di sedarla, piuttosto, utilizziamola. Vedrete che l’ansia non sarà più una minaccia ma un motore eccezionale, una carica in più e una spinta alla maggiore acquisizione di competenze.
Sviluppare la nostra capacità di ascolto è fondamentale: è come avere una marcia in più
La comprensione delle emozioni è la terza abilità che compone l’intelligenza emotiva, ed è estremamente legata al linguaggio che utilizziamo per descriverci e per descrivere i nostri stati d’animo e sentimenti. Come nell’antica affermazione nomina sunt substantia rerum riferita a Giustiniano, le cose esistono perché diamo loro un nome e, nel nominarle, conferiamo loro esistenza. Se ci sentiamo giù di morale e ci descriviamo come depressi o disperati, comunicheremo agli altri uno stato emotivo ben più negativo di quello che effettivamente stiamo vivendo.
Se non comprendiamo che i sentimenti più complessi nascono dalla coesistenza di un misto di diverse emozioni, alcune positive ed esaltanti, altre negative e difficili, non saremo in grado di comprendere e accettare la contraddittorietà che rende unici sentimenti come l’amore, l’amicizia o il fervore per la difesa di un ideale.
Promuoviamo, quindi, negli altri e in noi stessi, l’uso di un linguaggio più articolato e puntuale per descrivere i nostri stati d’animo o quelli degli altri.
La capacità di gestire le emozioni sia a livello personale sia nelle relazioni con gli altri è il quarto imprescindibile aspetto di questo processo. Gestire non vuol dire controllare o sopprimere, ma ascoltare e anticipare, evitare di essere presi alla sprovvista e di essere travolti. Altrettanto importante è la gestione delle relazioni con gli altri.
Tutti noi viviamo immersi in un contesto sociale e relazionale di cui abbiamo estremamente bisogno. Sappiamo quanto è doloroso in alcuni casi lo scontro e il conflitto. In alcune circostanze possiamo scegliere di sacrificare il nostro benessere personale in favore di quello altrui: se ciò avviene consapevolmente e occasionalmente, è un comportamento intelligente. Ma non significa farsi carico di tutte le pene del mondo o essere altruisti a ogni costo. Ciò finirebbe per minare il benessere personale, e non saremmo in grado di aiutare nessuno perché troppo fragili.
Questo articolo è stato pubblicato nella rivista BenEssere (mensile | anno XXVII | n. 05 | maggio 2015).
![]() | Di Antonella D’Amico: ricercatore di Psicologia generale, presso il Dipartimento di Scienze psicologiche pedagogiche e della formazione dell’Università degli studi di Palermo. |
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