Benessere psicologico e life skills tra prevenzione primaria e secondaria
Il Benessere psicologico secondo la psicologia positiva
Cosa intendiamo realmente quando parliamo di benessere psicologico? Quando possiamo dire che stiamo psicologicamente bene?
Negli ultimi decenni il concetto di benessere psicologico è entrato prepotentemente nel gergo comune poiché sempre più pregnante in vari ambiti sociali, oltre che scientifici, come quello delle organizzazioni, dello sport, scolastico, o giuridico.
In passato il benessere veniva considerato come assenza di malattia mentale, assenza di solitudine o di ansia (Steca, Ryff, D’Alessandro e Delle Fratte, 2002), e venivano considerati alcuni indicatori oggettivi non psicologici per definirlo, come le condizioni economiche, i ruoli sociali e la salute fisica. I classici approcci della psicologia e della psichiatria, inoltre, hanno contribuito a mostrare l’essere umano in modo estremamente negativo (Seligman, 1994), perché prevalentemente interessati ad indagare la malattia, il disordine psichico, e intenti ad individuarne cause e cure. Del resto “riparare i danni” è sempre stato l’obiettivo principale della psicologia, spesso l’unico, dalla prospettiva psicodinamica a quella cognitivo-comportamentale.
In contrapposizione a tale approccio di tipo medico, a partire dagli anni ottanta, si sviluppa un nuovo paradigma focalizzato maggiormente alla realizzazione di sé, allo star bene e all’ottimizzazione delle risorse personali (Seligman, 1996).
Nasce la psicologia positiva in quanto approccio scientifico rivoluzionario intento a individuare e promuovere ciò che funziona negli esseri umani, indagandone appunto virtù e punti di forza.
Pur non rinnegando la necessità della “riduzione/annullamento del danno”, la psicologia positiva, si sposta da una prospettiva focalizzata sugli aspetti negativi, punti di debolezza, difetti, mancanze ad una prospettiva intenta ad esplorare risorse e punti di forza. Gli individui, infatti, sono portatori di importanti risorse non ancora sfruttate sulle quali si potrebbero mobilitare energie per superare ostacoli e difficoltà della propria vita (Cowger,1994; DeJong e Miller,1995).
Secondo quest’ottica il benessere psicologico non dovrebbe essere concepito come punto di arrivo ma come processo da innescare o atteggiamento da promuovere, un modo di interagire e vivere la vita. Il benessere non può essere raggiunto, quindi, ma (ri-)attivato, (ri-)creato, promosso e sviluppato, attraverso i feedback provenienti dall’ambiente e in particolare dagli adulti di riferimento.
Il benessere psicologico in adolescenza
A proposito di benessere psicologico, i miei primi 10 anni di lavoro con bambini, ragazzi e giovani adulti mi hanno restituito interessanti indicazioni sullo stato di salute psichica degli adolescenti, che proverò ad analizzare in questo articolo, sottoforma di riflessioni.
“Non sono quello che dovevo essere, non sono quello che sto per essere, ma non sono neppure quello che ero”.
Questo vecchio detto americano, spesso citato da E. Erikson nei suoi saggi, rappresenta molto bene il passaggio tortuoso che gli adolescenti devono affrontare per diventare adulti. Un tratto di vita pieno di insidie dovute alle pressioni dei grandi mutamenti psicologici, sociali, fisici che l’adolescente deve affrontare durante questa continua ricerca-formazione del proprio sé.
In ogni epoca l’adolescenza ha rappresentato, sicuramente, la fase di crescita più difficile da percorrere ma forse oggi, rispetto al passato, diviene anche la più delicata.
Oggi incontro sempre più ragazzi con un basso livello di benessere psicologico e con specifiche criticità, nonostante le notevoli risorse e i numerosi talenti.
I nostri ragazzi sono sempre meno consapevoli di se stessi, dei propri punti di debolezza ma soprattutto dei punti di forza. Questi ultimi vengono addirittura seppelliti, asfissiati, de-vitalizzati e poiché spesso inespressi, tendono a soccombere alle difficoltà della vita.
Da un mio training in piccolo gruppo:
Psicologo: “Ragazzi raccontiamo un po’ cosa ci piace fare nel nostro tempo libero… Dove riusciamo bene?.. Quali sono i nostri talenti che ci piacerebbe coltivare?
Marco (15 anni): “non saprei rispondere. Non ci penso spesso… non c’ho mai pensato”
Stefania (14 anni): “quando ero piccola mi piaceva ballare, ora… non saprei…”
Giulio (13 anni): “io faccio nuoto, Judo e canto ma… non so cosa mi piace fare (!)”
I punti di debolezza, invece, vengono avvertiti come “carichi” troppo pesanti da sostenere perché percepiti come immodificabili e inaccettabili, quindi, vissuti passivamente. Spesso ne consegue una grande minaccia per l’adolescente che tende a identificarsi proprio con questi aspetti carenti e problematici, con un duro colpo al proprio sé.
I nostri ragazzi sono sempre più orientati alla ricerca di attività dove si possa dimostrare nell’immediato di essere bravi, intelligenti, forti, sottraendosi costantemente alle sfide della vita. Oggi si diventa facilmente “ricercatori di likes” rapidi e senza fatica, evitando i compiti che richiedono sforzo proprio per il terrore di essere giudicati stupidi o inadeguati.
Le avversità quotidiane vengono interpretate come permanenti e troppo minacciose, gli errori e gli insuccessi percepiti come un baratro da evitare, da non sperimentare e da cui sfuggire velocemente.
Gli adolescenti preferiscono, piuttosto, “rifugiarsi” volentieri in “non-spazi” virtuali come i videogames e i social network, in quel mondo dove tutto diventa veloce e apparentemente indolore: “Se perdo nessuno lo potrà vedere, ma se vinco lo mostrerò a tutti”
o ancora: “Mostro solo quello che penso possa piacere agli altri così… io piacerò agli altri”.
Sempre più ragazzi avvertono poco la responsabilità personale della propria vita, non si sentono protagonisti e gestori di se stessi. Quando devono prendere una decisione e/o risolvere una situazione problematica procrastinano ad oltranza oppure delegano perché non si sentono competenti, e spesso purtroppo non lo sono realmente.
Psicologo: “ah bene Luca, so che fai tennis da un mese. Quando vai agli allenamenti?”
dopo qualche secondo di riflessione…
Luca (13 anni): “…non ricordo veramente”
Psicologo: “allora come fai a non saltare gli allenamenti se non lo ricordi?”
Luca: “ci pensa mia madre…”
Sempre più ragazzi, nonostante posseggano un potente “motore” chiamato curiosità, affrontano tutte le situazioni sempre nello stesso modo in maniera poco flessibile e soprattutto risultano profondamente influenzati da ciò che pensano o fanno gli altri. Anche questo possiamo considerarlo tipico e naturale del processo di crescita degli adolescenti ma forse oggi, più di ieri, faticano troppo a sviluppare un adeguato pensiero creativo e critico e questo lo trovo rischioso per il loro sviluppo mentale.
La ricerca del “consenso ad oltranza”, a mio avviso, è un pericoloso (dis)-organizzatore psichico che insidia l’autonomia, riduce lo “slancio vitale” e che, se consolidato in età adulta, crea profondi deficit al benessere psicologico.
Spesso non si pongono in “ascolto” e non solo dal punto di vista cognitivo. Il rischio di analfabetizzazione emotiva, purtroppo è reale e molto diffuso tra gli adolescenti (ma anche tra gli adulti!).
Oggi i nostri ragazzi parlano molto di emozioni, soprattutto tra loro, ma non sono abituati a riflettere su di esse e spesso non sanno esprimerle in maniera fluida e consapevole ma stereotipata. Fanno fatica soprattutto a gestire le conseguenze con impatto negativo nella sfera relazionale.
A proposito di aspetti interpersonali, è alquanto frequente assistere a relazioni adolescenziali poco gratificanti e di scarsa con-divisione. Cresce sempre più la tendenza a rinunciare ad attività sociali reali per paura di essere rifiutati e per il senso di vergogna che ne potrebbe scaturire.
La sindrome Hikikomori è un esempio patologico, ormai planetario, delle difficoltà relazionali degli adolescenti. Inoltre i ragazzi tendono a “consumare” gli incontri attraverso modalità manipolatorie, invadenti e di controllo in una ricerca costante della supremazia sugli altri attraverso l’estrema competizione.
La rincorsa ad accrescere il numero di amicizie virtuali, piuttosto che la ricerca delle relazioni qualitativamente gratificanti, li fagocita perché utile a saziare i loro tipici bisogni narcisistici adolescenziali.
Psicologo: “ragazzi parliamo di amicizia…”
Nadia: “io ne ho tanti e sono soddisfatta! Più di 1000!”
Ettore: “io devo controllare, forse ti supero!”
(il riferimento ai social network è evidente)
Ma è possibile prevenire tali disagi? Le risposte sono più che confortanti.
Attraverso percorsi mirati e specifici in vari contesti educativi, come quello scolastico, è possibile potenziare proprio quelle aree, abilità o competenze necessarie per consentire una sana crescita psicologica.
Un buon progetto psico-educativo costruito ad hoc per incrementare il benessere psicologico, ha il potere di far crescere i nostri ragazzi più forti, resilienti, assertivi, soddisfatti di se e della propria vita. Un esempio su tutti, a livello internazionale, è rappresentato dal progetto “Skills for life” ideato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per migliorare la salute psico-sociale dei bambini e adolescenti. I vari programmi realizzati in varie parti del mondo hanno documentato l’elevata efficacia dell’insegnamento delle abilità e competenze di vita, definite appunto life skills, dimostrando quanto sia indispensabile promuoverle e potenziarle soprattutto in ambienti educativi come quello scolastico.
PerCorsi di BenEssere-LifeSkills per la prevenzione secondaria
E quando riscontriamo un disagio psicologico nel bambino o nel ragazzo è possibile ridurre l’impatto dei fattori di rischio ed evitare che sfocino e si strutturino in veri e propri disturbi psichiatrici? Anche in questo caso abbiamo importanti indicazioni a favore.
Progettare un intervento di prevenzione secondaria in questi casi è di fondamentale importanza e spesso urgente. Anche in queste situazioni può risultare necessario un percorso mirato al potenziamento delle life skills e alla promozione del benessere psicologico ma in maniera ancora più specifica e intensiva. Diventa cruciale, ad esempio, favorire una modificazione di alcune false credenze nell’ adolescente come il pensiero entitario (C. Dweck, 2000) e uno stile esplicativo disfunzionale (M. Seligman, 1996).
A tal proposito trovo utile proporre un modello di riferimento utilizzato personalmente in questi ultimi anni, proprio in situazioni di prevenzione secondaria, con adolescenti e giovani adulti. Il modello (fig. 1) unisce il concetto di benessere psicologico a 6 dimensioni (PWB) proposto da C. Ryff e le 10 abilità/competenze di vita (life skills) proposto dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS).
All’interno dell’approccio della psicologia positiva, C. Ryff considera il benessere psicologico, secondo una prospettiva eudaimonica, in quanto autorealizzazione, costruzione dei significati di vita e condivisione degli obiettivi (Ryff e Keyes, 1995).
Secondo il modello PWB, quindi, “Stiamo Bene” quando: sappiamo riconoscere e accettare aspetti positivi e negativi (autoaccettazione), sentiamo fiducia negli altri e con cui sviluppiamo relazioni soddisfacenti (relazione positiva con gli altri), regoliamo il comportamento attraverso un pensiero autonomo e indipendente (autonomia), abbiamo una buona percezione di padronanza e competenza nel gestire l’ambiente esterno (dominio sull’ambiente), sappiamo dare un significato alla vita passata, presente e futura costruendo obiettivi da raggiungere (scopo di vita) e siamo aperti alle nuove esperienze che la vita ci può offrire (crescita personale) (Ryff, 1989).
Per quanto riguarda, invece, il modello di salute bio-psico-sociale considerato dall’OMS, per attivare benessere psicologico sono necessarie le seguenti abilità/competenze: saper prendere decisioni, essere in grado di risolvere problemi personali e interpersonali, essere creativi, avere un pensiero critico, essere consapevoli di se stesso, avere una comunicazione efficace, saper “costruire” relazioni interpersonali positive, essere empatici, saper gestire le proprie emozioni e lo stress (Marmocchi, Dall’Aglio e Zannini, 2004).

Dal modello di riferimento è possibile progettare efficaci percorsi di crescita per adolescenti in difficoltà.
BenEssere-LifeSkills (fig. 2) è un esempio di training delle abilità di vita e di riscoperta delle virtù, dei valori, dei bisogni e sentimenti per imparare a gestirli e poterli esprimere efficacemente.
Attraverso un approccio metacognitivo il percorso mira a sviluppare nel ragazzo un sistema di credenze funzionali e utili ad affrontare le difficoltà; in particolare favorisce un pensiero incrementale nei confronti delle proprie abilità e a contrastare una visione pessimistica della vita permeata dall’impotenza appresa.
Il percorso mira a sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri punti di forza, affinché emergano, vengano “assaporati” e finalmente realizzati; mira a “revisionare” i punti di debolezza imparando a distinguere quelli che possono essere migliorati sotto la propria responsabilità.
Spinge a far riconoscere le conseguenze delle proprie azioni, a valutare i pro e i contro di una decisione e di una situazione problematica e a pianificare le azioni per risolverla. Stimola a vivere il presente e a progettare obiettivi significativi attraverso un atteggiamento creativo e critico, sperimentandosi autonomi. Ha tra gli obiettivi principali, inoltre, quello di far sperimentare uno stile assertivo di comunicazione e relazionale, di accrescere le proprie capacità empatiche attraverso l’ascolto attivo, a riconoscere e gestire le emozioni e incrementare le strategie di coping al fine di diminuire gli effetti negativi dei conflitti e dello stress.

Il benessere psicologico dei nostri ragazzi, quindi, è una risorsa troppo preziosa per non essere opportunamente esplorata e promossa.
Una risorsa che va pensata, progettata, sperimentata e “consegnata proprio nelle loro mani”, affinché possano vivere sereni il presente e diventare, domani, adulti responsabili di se stessi, degli altri e della comunità di appartenenza.
In questi anni il mio lavoro mi ha portato a paragonare l’adolescenza ad un sentiero difficile da percorrere, a tratti ripido, tortuoso, in salita o addirittura interrotto ma con paesaggi attorno incantevoli e straordinari da esplorare e da vivere.
Purtroppo incontro sempre più ragazzi disorientati e incapaci di scorgere questi paesaggi meravigliosi proprio perché troppo concentrati a non inciampare nel sentiero.
Mi piace, allora, pensare all’adulto di riferimento come ad una bussola da utilizzare per facilitare l’orientamento, come ad un passamano dove appoggiarsi durante i tratti più faticosi e soprattutto come ad un faro affinché vengano illuminati proprio quei luoghi che gli adolescenti perdono troppo spesso e a volte irrimediabilmente.
BIBLIOGRAFIA
Cowger, C. (1994). Assessing client strengths: Clinical assessment for client empowerment, Social Work, 39, 262–268.
De Jong, P., Miller, S. (1995). How to interview for client strengths. Social Work, 40, 729-736.
Dweck, C.S. (2000). Teorie del sé. Intelligenza, motivazione, personalità e sviluppo. Trento: Erickson.
Marmocchi, P., Dall’Aglio, C. e Zannini, M. (2004). Educare le life skills. Trento: Erikson.
Ryff, C.D. (1989). Happiness in everything, or is it? Exploration on the meaning of psychological well-being. Journal of Personality and Social Psychology, 69 (4), 719-727.
Ryff, C.D. e Keyes, C.L.M. (1995). The structure of psychological well-being revisited. Journal of Personality and Social Psychology, 69, 719-727.
Seligman, M.E.P. (1994). What you can change and what you can’t. New York: Knopf.
Seligman, M.E.P. (1996). Imparare l’ottimismo. Firenze: Giunti.
Steca, P., Ryff, C.D., D’Alessandro,S. e Delle Fratte, A. (2002). Il benessere psicologico: Differenze di genere e di età nel contesto italiano. Psicologia della Salute, 2, 121-143.
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