Abstract
Il presente lavoro si propone come un contributo sperimentale a favore della Teoria del Cacciatore-Raccoglitore proposta da Silverman & Eals nel 1992 per cui la caccia e raccolta alla base della suddivisione sociale del lavoro nel Paleolotico avrebbero contribuito allo sviluppo di abilità visuo-spaziali diverse negli uomini e nelle donne.
Questa teoria si colloca nel più ampio corpus della Psicologia Evoluzionistica, che spiega i comportamenti umani nell’ottica degli adattamenti che i nostri progenitori dovettero sviluppare per sopravvivere all’ostile ambiente ancestrale. Entrambi gli studi effettuati nel seguente lavoro sono stati condotti tramite l’utilizzo di Hunter-Gatherer Game.
Lo strumento si basa sulla Teoria del Cacciatore-Raccoglitore, proponendo un ambiente virtuale nel quale la sopravvivenza dell’individuo e della sua tribù dipende dall’efficienza nella cattura di prede o nel reperimento di vegetali commestibili.
Il primo studio presentato è stato condotto in Italia con lo scopo di verificare l’ipotesi per cui fosse possibile riscontrare delle performance differenti in termini di caccia e raccolta negli uomini e nelle donne attraverso l’utilizzo di Hunte-Gaherer Game.
Il secondo è stato condotto in Inghilterra per vagliare l’ipotesi per cui le suddette differenze riscontrate negli uomini e nelle donne non fossero dettate dall’appartenenza ad una determinata cultura.
Si deve certamente a Charles Darwin la paternità delle intuizioni inerenti ai primi compiti di adattamento sviluppati dalla specie umana durante la sua filogenesi. Esattamente come alcuni comportamenti venivano utilizzati dagli animali per la loro funzione adattiva di difesa dai nemici, i residui di queste azioni volontarie (o involontarie) ne rappresentano oggi l’eredità, sebbene alcune abbiano ormai perso il loro vantaggio adattivo.
Uno degli ambiti su cui la selezione naturale ha mostrato i suoi maggiori effetti è sicuramente quello della ricerca del cibo. Fra i più elementari bisogni dell’organismo umano infatti, quello dell’alimentazione è strettamente connesso ad altre necessità primarie quali la ricerca di un compagno e la riproduzione (Cardaci, 2012). Possiamo oggi soltanto lontanamente immaginare quanto ardua e faticosa dovesse essere l’attività legata al cibo per i nostri progenitori. L’ambiente ancestrale non forniva di certo alimenti facilmente reperibili ,tuttavia, era necessario procacciare del cibo con delle caratteristiche nutritive sufficienti per la giornata nonché per la ricerca di ulteriore cibo. Le fonti di sostentamento sulle quali si basava la scelta degli alimenti dovevano sostanzialmente essere la caccia di animali e la raccolta di piccole piante e frutti commestibili.
Secondo i principi esposti dalla Psicologia Evoluzionistica queste due attività dovettero sicuramente comportare dei vantaggi e dei benefici in termini di sopravvivenza ai primi esemplari di uomini. Tali benefici andarono ben oltre la semplice attività di alimentazione lasciando tangibili sottoprodotti anche su di noi. La Teoria del Cacciatore-Raccoglitore (Tooby and Cosmides 1992) mette in luce le sue implicazioni sulle differenze in termini di abilità spaziali modularizzatesi nel cervello maschile e femminile in conseguenza a diversi trade-off costi-benefici che i nostri antenati gestirono per sopravvivere all’ostilità dell’ambiente. Propone pertanto una chiave di lettura su come, preistoricamente, si sia sviluppata la prima divisione sociale dei compiti e del lavoro.
Le attività di caccia e raccolta avrebbero “plasmato” sia l’organizzazione sociale, sia lo stesso cervello umano, producendo una primitiva divisione del lavoro nelle comunità dei nostri progenitori e, parallelamente, la specializzazione neurale di differenti funzioni cognitive “maschili” e “femminili” (Cardaci, Fiordispina e Tabacchi, 2013). In tale ottica le dimensioni corporee e la forza fisica più spiccata nel genere maschile della specie umana, si dimostrarono più adattive per le attività di caccia, con il conseguente sviluppo di abilità quali velocità nella corsa e la precisione nel colpire il bersaglio in movimento a lunga distanza. A loro volta, le donne trascorrevano la maggior parte della loro vita in condizione di pregnanti e pertanto erano impossibilitate a svolgere lavori che richiedessero un elevato sforzo fisico. Dati archeologici e antropologici ci raccontano quindi come tale condizione abbia “specializzato” le giovani abitanti del Paleolitico nelle meno rischiose attività di raccolta di frutti e vegetali commestibili.
Coerentemente a quanto appena esposto lo scopo generale della ricerca è stato quello di verificare se le differenze nelle abilità di caccia e raccolta legate al genere possano essere riscontrate anche nella condizione simulativa dello strumento Hunter-Gatherer Game.
Più in particolare il lavoro si è proposto i seguenti obiettivi specifici:
1- Verificare la possibilità di rilevare significative differenze nelle abilità di caccia e raccolta legate al genere attraverso una performance virtuale L’ipotesi formulata a monte da Cardaci, Tabacchi e Fiordispina nel loro studio pilota condotto a dicembre del 2012, è quella per cui tramite l’utilizzo di Hunter-Gatherer Game sia possibile mettere in luce delle differenze nelle performance di caccia e raccolta tra i giocatori e le giocatrici.
2- Verificare la predisposizione del sesso maschile per le attività di caccia e la predisposizione del sesso femminile per quelle di raccolta in termini della performance multimediale Hunterer-Gatherer Game.
L’ipotesi relativa a questo costrutto è quella per cui i moduli forgiati in era ancestrale per rendere al meglio le attività di sussistenza di caccia e raccolta mostrino ancora oggi dei loro sottoprodotti rintracciabili attraverso delle scelte comportamentali e attitudinali sia negli uomini che nelle donne Una verifica di tali ipotesi fornirebbe un ulteriore supporto empirico alla Teoria del Cacciatore Raccoglitore. Lo studio pilota si è svolto su un campione di 30 studenti dell’Ateneo i Palermo, 15 maschi e 15 femmine, con età media 23,23 anni e con deviazione standard 2,47. L’analisi dei dati è stata calcolata automaticamente dal sistema che ha estratto delle variabili inerenti alle strategie di caccia e raccolta utilizzate dai giocatori in ogni partita. Nel dettaglio il software ha estratto le seguenti variabili : numero di piante raccolte, permanenza zonale, cambi zonali, ratio animali, ratio zona E e cambi zona con isteresi. L’elaborazione delle suddette variabili ha messo in luce l’esistenza di differenze di genere sia in riferimento all’incidenza di prede rispetto alla totalità di cibo procacciato (Ratio Animali) che rispetto alla permanenza della zona più esterna dell’ambiente multimediale. Nello specifico è stato utilizzato il test T di Student per il confronto tra due medie dove M1 viene indicata dalla Permanenza nella Zona Esterna ed M2 corrisponde alla media di Ratio Animali. Dall’analisi dei dati, la differenza tra le medie Zona Esterna e Ratio Animali è risultata statisticamente significativa, con un p value inferiore a 0,01 e inferiore 0.05. Non sono state invece trovate differenze statisticamente significative nel confronto di cambi di zona, con o senza isteresi (Cardaci, Tabacchi e Fiordispina ,2012).
Considerate tutte le cautele che riguardano la conduzione di uno studio pilota, questi risultati sembrerebbero ad ogni modo corroborare l’ipotesi di partenza. Gli studenti che hanno partecipato alla ricerca hanno tendenzialmente preferito una strategia di predazione dinamica, senza con questo escludere la raccolta di vegetali durante il tragitto. Le studentesse, d’altra parte, hanno prevalentemente preferito una dinamica di gioco più stabile, soffermandosi maggiormente sulle piante sicuramente più facili da reperire. Questo dato non si evince soltanto dalla proporzione di piante raccolte, bensì dalla prevalente preferenza delle donne a soffermarsi nella zone interna dell’ambiente. La zona esterna infatti, viene prevalentemente utilizzata per la caccia degli animai che corrono su questa specifica area multimediale. I dati analizzati confermano sia la prima ipotesi di partenza per cui sia possibile mettere in luce delle differenze nelle performance di caccia e raccolta tra i giocatori e le giocatrici, nonché la seconda ipotesi per la quale i moduli forgiati in era ancestrale dalle attività di sussistenza di caccia e raccolta mostrino ancora oggi dei loro sottoprodotti rintracciabili attraverso delle scelte comportamentali e attitudinali sia negli uomini che nelle donne. Una volta raccolti ed elaborati questi risultati, ci si è chiesti se questi dati potessero essere influenzati da variabili culturali o se invece potessero essere generalizzati a prescindere dalla cultura di appartenenza. Non si può infatti escludere che le differenze di genere osservate nello studio condotto sul campione italiano, siano dovuti a fattori culturali ed educativi tipici delle tradizioni meridionali, anziché a basi biologiche innate. Per escludere tale possibilità, abbiamo preso in considerazione un’altra popolazione di soggetti non italiani, mantenendo la medesima modalità di somministrazione.
Nello specifico questa seconda ricerca si è posta i seguenti obiettivi:
1- Verificare la possibilità di rilevare significative differenze nelle abilità di caccia e raccolta legate al genere in un campione di riferimento multiculturale. L’ipotesi sulla quale si basa il seguente obiettivo è quella per cui le abilità di caccia e raccolta , per la loro origine prettamente evoluzionistica, si siano modularizzate nel tempo nel cervello maschile e femminile a prescindere dalla cultura di appartenenza.
2- Verificare la predisposizione del sesso maschile per le attività di caccia e la predisposizione del sesso femminile per quelle di raccolta a prescindere dalla cultura di appartenenza.
Se nel primo esperimento l’obiettivo si fondava sulla validità della Teoria del Cacciatore-Raccoglitore, nella seconda somministrazione l’ipotesi di riferimento è legata alla possibilità che la Teoria sia valida e che, in quanto di matrice evoluzionistica, abbia un carattere universale. Lo studio in Inghilterra è stato condotto su un campione reperito in loco nel periodo compreso tra novembre 2013 e febbraio 2014. Il campione era originariamente composto da 67 soggetti 34 maschi e 33 femmine, con età media 21,2. L’università che ha consentito di reperire il campione è stata la Hertfordshire University of Hatfield, una cittadina a 40 km al Nord di Londra. La concentrazione di studenti provenienti da ogni parte del mondo e la variabilità di culture presenti, ha permesso di reperire un campione marcatamente variegato in termini di etnie. Alla fine di ogni partita il software ha estratto le seguenti variabili : numero di piante raccolte, permanenza zonale, cambi zonali, ratio animali, ratio zona E e cambi zona con isteresi.
Anche in questo caso, l’elaborazione delle variabili ha messo in luce l’esistenza di differenze di genere sia in riferimento all’incidenza di prede rispetto alla totalità di cibo procacciato (Ratio Animali) che rispetto alla permanenza della zona più esterna dell’ambiente multimediale. Nello specifico è stato utilizzato il test T di Student per il confronto tra due medie dove M1 viene indicata dalla Permanenza nella Zona Esterna ed M2 corrisponde alla media di Ratio Animali. Gli studenti di questa seconda popolazione hanno tendenzialmente preferito una strategia di predazione dinamica, senza con questo escludere la raccolta di vegetali durante il tragitto. Le studentesse,invece, hanno prevalentemente preferito una dinamica di gioco più stabile, soffermandosi maggiormente sulle piante sicuramente più facili da reperire. Questo dato non si evince soltanto dalla proporzione di piante raccolte, bensì dalla prevalente preferenza delle donne a soffermarsi nella zona interna dell’ambiente nella quale si trova una maggiore concentrazione di vegetali. La zona esterna infatti, viene prevalentemente utilizzata per la caccia degli animai che corrono su questa specifica area multimediale. I dati analizzati confermano sia la prima ipotesi di partenza per cui le abilità di caccia e raccolta , per la loro origine prettamente evoluzionistica, si siano modularizzate nel tempo nel cervello maschile e femminile a prescindere dalla cultura di appartenenza, sia la seconda ipotesi per la quale attraverso le differenze di genere legate alle performance, la Teoria del Cacciatore- Raccoglitore si possa considerare valida e dal carattere universale.
Una volta verificate le ipotesi di partenza, è possibile considerare raggiunti anche i due obiettivi ad esse relativi. Nello studio è emerso come esistano delle differenze di genere nella scelta della strategia di caccia e raccolta e come queste differenze non sembrano essere legate alla cultura di appartenenza. Naturalmente lo strumento Hunter-Gatherer Game non pretende di essere il migliore nell’indagare le suddette componenti cognitive, così come la ricerca può sempre essere ampliata e migliorata nelle sue varie parti. Il fine ultimo del presente contributo non è quindi quello di sollevare certezze circa l’origine evoluzionistica delle abilità visuo-spaziali derivate dalle antiche attività di caccia e raccolte, bensì quello di porsi come un ulteriore contributo empirico a favore delle teorie evoluzionistiche.
Nonostante godano di una vastissima letteratura internazionale a loro favore, sia la Psicologia Evoluzionistica che la Teoria del Cacciatore-Raccoglitore sono state e sono ancora oggetto di numerose critiche. Il principale fraintendimento dal quale derivano malintesi e interpretazioni consiste nell’identificare la Psicologia Evoluzionistica con il determinismo genetico per il quale il comportamento umano sarebbe appunto geneticamente determinato.
Tuttavia, per quanto non si possa negare una chiara influenza genetica su tutto il funzionamento umano, riconoscere le radici biologiche della natura non significa teorizzare un immutabile “destino genetico”. La possibilità di prendere coscienza dei nostri istinti, cosi come delle circostanze ambientali che li attivano può invece facilitarne sia la conoscenza che il cambiamento (Buss, 2012). La psicologia evoluzionistica è stata inoltre aspramente criticata per via del concetto di adattamento, o meglio per aver teorizzato “ogni cosa come un adattamento”.In realtà, lungi dall’essere così riduttiva, essa riconosce l’esistenza di altri meccanismi la cui genesi non è assolutamente ascrivibile all’evoluzione umana.
Come costantemente ricordano gli stessi evoluzionisti , non tutti i comportamenti sono frutto dell’evoluzione : alcuni possono essere comparsi come sottoprodotti a effetto indiretto di altri (come per esempio l’andare in bici), altri invece possono semplicemente dipendere da variabili assolutamente casuali. In aggiunta a questo, bisogna chiarire che l’approccio adattazionista adottato dalla Psicologia Evoluzionistica, non implica per definizione, che l’adattamento sia sempre la scelta migliore che l’evoluzione ci ha riservato. Sono proprio gli evoluzionisti infatti a spiegare come molti comportamenti potrebbero aver perso parte ,se non tutto, il valore adattivo che avevano un tempo La società contemporanea è radicata in un ambiente totalmente diverso rispetto a quello che avrebbe consentito l’origine dell’evoluzione umana nonché la nascita dei primi adattamenti comportamentali. In secondo luogo bisogna tenere conto che ogni adattamento implica sempre due effetti: da un lato arreca benefici che hanno consentito all’evoluzione di selezionarlo tra gli altri; dall’altro, esso è sempre vincolato da costi che ne riducono l’efficacia adattiva (Cardaci,2012).
Autore: Chiara Frontini – Dottoressa in Psicologia Clinica dell’arco di vita.
Ente: Università degli Studi di Palermo – Hatfield University
Relatore: Professore Maurizio Cardaci in collaborazione con il Professore Marco Elio Tabacchi.
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