di Recano Nunzio Ezio psicologo
La prospettiva psicologica cognitivista che considera la mindfulness come una modalità di consapevolezza utile per coltivare la calma mentale ha oggi nomi illustri: Paul Ekman, Alan Wallace, Richard Davidson e lo stesso Jon Kabat Zinn. Psicologo di fama internazionale il primo, noto soprattutto per gli studi sulle emozioni di base. Filosofo e fisico il secondo, noto maggiormente per il metodo Cultivating Emotional Balance. Neuroscienziato e direttore del più importante istituto americano di neuroscienza delle emozioni il terzo, famosissimo negli ambienti scientifici anche per essere trai primi ad avere studiato in laboratorio dei monaci buddhisti con l´fMRI, al fine di indagare sperimentalmente cosa realmente accadeva all´ interno delle loro aree cerebrali mentre meditavano. Biologo molecolare il quarto, J.K. Zinn famoso per essere l´ inventore del trattamento Mindfulness Based Stress Reduction (Riduzione dello Stress attraverso l´Attenta Consapevolezza), un training che adatta ed incorpora i principi filosofici del buddhismo ai metodi delle scienze cognitive e comportamentali nell´ambito della clinica psicologica. Questa tradizione di ricerca e di pratica della mindfulness inaugurata da J. K. Zinn in America, una tradizione maggiormente “radicale” (cioè la mindfulness intesa come metodo meditativo di training della consapevolezza, autoregolazione dell´ attenzione e di riduzione dello stress) rispetto a quella piu´ “incorporazionista” (la mindfulness intesa come una terapia cognitiva), trova parallelamente le sue origini in Italia a partire dai lontani anni settanta. Anni di grande apertura culturale dove studiosi, scienziati e sperimentatori musicali di tutta Europa si recavano anche in Italia per apprendere i “segreti” delle pratiche meditative dai maestri buddhisti qualificati “importati” dall´ India. Senza nulla togliere alla grande utilità del metodo Mindfulness Based Stress Reduction elaborato nella clinica del Massachusetts da John Kabat Zinn e collaboratori, si vuole evidenziare che anche in Italia, in modo certo meno appariscente e più dal lato del “benessere”, dagli anni settanta in poi si coltivava e si tramandava integralmente una tradizione di pratica meditativa che ha piu´ di 2500 anni e che ha trovato casa presso l´Istituto buddhista Lama Tzong Khapa, istituto che sorge tra le colline Pisane di Pomaia Arco di Trento. Qui´, da quando i maestri buddhisti cominciarono a insegnare in occidente la meditazione mindfulness, non si è solo trattato di lavorare all´ attuazione dei primi programmi di gestione dello stress basati sulla mindfulness o di elaborare i primi metodi di counseling umanistico mindfulness oriented rivolti essenzialmente a coloro che si trovavano in condizioni di vita di “crisi”, ma si è portata avanti soprattutto una tradizione di coltivazione della calma mentale e della presenza mentale, nella vita quotidiana, tramite la meditazione a tutti i livelli. All’istituto Lama Tzong Khapa italiano si insegna e soprattutto si apprende ancora oggi soprattutto lo spirito della meditazione mindfulness. Si impara a camminare meditando, a mangiare meditando, ad ascoltare e praticare il Dharma (gli insegnamenti di Buddha) in piena presenza mentale meditando.
Mindfulness significa visione e comprensione immeditata della realtà: la possibilità di disidentificarsi (o defondersi) dei propri contenuti mentali (pensieri) è di fatto la condizione di base della nostra libertà (Segal, Williams, Teasdale, 2006). È una visone diretta, a nudo, fresca delle cose, non mediata da concettualità, in breve uno stato di percezione diretta e consapevolezza. E´ evidente in chi pratica la mindfulness quotidianamente, e quindi ne ha fatto esperienza diretta, che la mente nel suo aspetto primario ed essenziale sia una concatenazione unitaria di istanti di percezione, sensazione, esperienza. La percezione umana è comunque sempre da intendersi sempre come ´appercezione´, concetto già presente in Leibniz ed in Kant: la possibilità squisitamente umana della percezione consapevole che è anche la condizione di libertà di fondamentale di scelta rispetto a quel ´fascio di percezioni´ situato al disotto della soglia della coscienza. Come sosteneva già Leibniz (1714), questo aspetto psichico operante appena al di sotto della soglia della coscienza contribuisce in maniera spesso decisiva, a determinare il prevalere di un impulso su un´ altro e quindi a orientarci nella scelta. È anche per questa ragione che prima di meditare e giungere autonomamente agli insight (presa di coscienza, intuizione o comprensione) circa se stessi ed il mondo, sono importanti le pratiche preliminari, ovvero creare il cosiddetto spazio mentale. Cio´ nella tradizione contemplativa dell´antico pensiero indiano e giapponese (rappresentata oggi in occidente dai metodi come la Mindfulness, l´ ACT-Acceptance Commitment Therapy o il CEB-Cultivating Emotional Balance), significa cominciare dallo scegliere di smettere consapevolmente, in modo intenzionale di nutrire un certo tipo di pensiero discorsivo-concettuale su:
- Ruminazione depressiva= un pensiero compulsivamente dedito a “riflettere” ad “analizzare”, a cercare ragioni e soluzioni a livello di problem solving discorsivo in merito a sintomi e agli stati emotivi depressivi (S. Nolen Hoeksema, J. Marrow,1991)
- Ruminazione ansiosa= pensiero preoccupato (worry) ricorrente, ripetitivo e incontrollabile circa potenziali eventi negativi e minacciosi (L. Roemer, T. Borkovec, 1993)
- Pensiero che rimurgina su aspetti negativi passati dell´ esperienza, poiché nel mantenimento della depressione è lo stile cognitivo “depressivo” ad essere maggiormente determinante (centrato sul senso di colpa, perdita, fallimento, non ottenimento) rispetto al numero di eventi spiacevoli sperimentati nel passato dalla persona (Segal, Williams, Teasdale, 2006). Il Buddha stesso, il primo ricercatore cognitivo comportamentale della storia, 2500 anni fa in India, a questo proposito insegnò: Tutto ciò che siamo è generato dalla mente. E’ la mente che traccia la strada. Come la nostra ombra incessante ci segue così ci segue il benessere quando parliamo o agiamo con purezza di mente. Se ci liberiamo del tutto da pensieri che insinuano: “Mi hanno insultato, maltrattato, mi hanno offeso, derubato”, l’odio è spento”,l ’odio non può sconfiggere l’odio, solo esser pronti all’amore lo può.” Questa è la legge eterna.” (Dhammapada, 2000)
Negli ultimi anni infatti, in psicologia si è cominciato a esplorare l´ ipotesi che in effetti esista una caratteristica comune alla ´rumination´ depressiva e al ´worry´ ansioso e si è concettualizzato questo fattore latente comune attraverso il costrutto di “pensiero ripetitivo” (repetitive thought) fattore concomitante e predittivo sia dei disturbi ansiosi che di quelli depressivi (S. Segerstorm, J. Isao, L. Alden, M. Craske, 2000).
Mindfulness
Meditare e´ una attività della mente che semplicemente prende coscienza dei suoi diversi aspetti. La parola tibetana per meditazione sgom, significa letteralmente familiarizzarsi. Esistono molte tecniche diverse di meditazione e numerosi aspetti latenti della mente con cui familiarizzare. Ogni tecnica ha delle funzioni e benefici speciali e ciascuna e´ il componente di una struttura atta a portare la nostra mente a una visione realistica del mondo. Di fatto si tratta di essere completamente onesti nei nostri confronti, di prendere coscienza di quello che siamo e lavorare su questo per diventare piu´ positivi e utili a noi stessi e agli altri. Vi sono numerose tecniche meditative che possono essere suddivise in due tipi: meditazione stabilizzante e meditazione analitica.
La meditazione stabilizzante(Samatha, in lingua originale) viene usata per sviluppare la capacita´ di concentrarsi su un unico punto, un prerequisito per ottenere qualsiasi realizzazione duratura nella pratica. In questa tecnica mindfulness ci si concentra su un oggetto con gentilezza, ad esempio il respiro, ed si evita l´attività discorsiva-concettuale della mente. Mentre osserviamo il respiro e siamo consapevoli del corpo e dell´ ambiente attorno a noi, rimaniamo vigili, consapevoli, osserviamo e comprendiamo i nostri pensieri, sensazioni ed emozioni senza far nulla, rilassati, coscienti, rimanendo “immobili come un pezzo di legno”. Quando sorge un pensiero lo notiamo, ne prendiamo atto, lo accettiamo senza giudicarlo e poi ritorniamo a focalizzarci sul flusso spontaneo del respiro. Gradualmente attraverso questa pratica, rilasseremo il corpo, armonizzeremo la nostra mente al flusso del respiro, e ci apriremo a vedere l´ interdipendenza naturale che c´è tra noi e l´ ambiente, di come ogni cosa attorno a noi, compresi i vestiti stessi che indossiamo, sono il frutto della gentilezza degli esseri senzienti. In questo stato mentale piacevole attiviamo Shamata, la calma mentale dimorante, che per noi meditatori principianti e´ uno stato mentale artificiale che necessita sempre di essere coltivato e protetto.
La meditazione analitica stimola invece il pensiero creativo ed intellettuale (esaminare, analizzare, immaginare, riflettere profondamente) ed e´ determinante per il nostro sviluppo: il primo passo infatti per ottenere una reale conoscenza intuitiva, l´ insight, e´ capire concettualmente la realta´ delle cose. {A questo proposito è utile tenere presenti, riflettere criticamente ed essere consapevoli di 4 categorie del pensiero ed 1 postulato epistemologico, che sono fattori che riguardano la sofferenza esistenziale e la possibilità di accettarla e superarla, i quali secondo il paradigma mindfulness sicuramente tutti gli esseri umani sperimentano nella vita, seppur in diverso grado di intensità e con differenti capacita´ individuali di tolleranza e consapevolezza; ciò viene fatto sia come pratica preliminare, sia come contemplazione effettiva, al fine di prevenire in se stessi la generazione di stati estremi di ansia, depressione, idealizzazione o stress mentale che di sicuro intralcerebbero la meditazione:
le 4 categorie del pensiero sono:
- impermanenza (le cose cambiano, prima o poi moriremo di sicuro)
- la sofferenza di essere separati dalla bellezza (ad es. doversi separare da qualcosa o qualcuno che amiamo e che ci piace moltissimo)
- la sofferenza di imbattersi in cose spiacevoli (ad es. incontrare una condizione avversa ai nostri scopi ed obiettivi)
- la sofferenza del non trovare ciò che si desidera (ad es. non ricavare il sufficiente profitto dal commercio e perdere tutto il capitale)
il postulato epistemologico Mindfulness Based Stress Reduction in sintesi é:
la sofferenza mentale, le emozioni spiacevoli e disfunzionali, i pensieri spiacevoli e disfunzionali, sorgono in dipendenza da cause e condizioni, sono non intrinsecamente esistenti e non indipendenti dal modo di pensare, ma hanno tuttavia un substrato biologico}
Questa chiarezza concettuale si trasforma in certezza e quando e´ unita alla meditazione stabilizzante, ed e´ la porta della conoscenza diretta e intuitiva. Mentre siamo in meditazione e siamo consapevoli, vigili e cognitivamente presenti, usiamo i fattori mentali dell´ esame e dell´ analisi per investigare i fenomeni della realta´. Prendiamo ad esempio il concetto di impermanenza grossolana dei fenomeni. Dapprima ci soffermeremo sull´ immagine mentale che riusciamo ad avere dell´ impermanenza, sul concetto di impermanenza; potrebbe essere che la vediamo che l´ occhio della mente nell´ immagine mentale dello scorrere di un fiume, o nelle acque di una cascata scoscesa, oppure nella dinamica dei micromovimenti spontanei del nostro stesso corpo mentre stiamo meditando. Mentre contempliamo ci chiediamo: “ E´ vero o no? E´ impermanente o no? Ha senso o no questo insegnamento sull´ impermanenza? Come è la realta´? Come stanno le cose?”. Quindi continuiamo ad esaminare, ad analizzare, ad investigare con il nostro intelletto fino a quando non giungeremo ad una certezza. Tale certezzainteriore, frutto della nostra analisi e´ l´ elemento che attraverso la meditazione stabilizzante focalizzandoci per un po´ su di esso “istalleremo” nella nostra mente, proprio come si fa con un programma, solo che il software e´ la nostra mente e l´ hardware e´ nostro cervello.
Da questa ultima metafora che ci porta a vedere la mente come il software ed il cervello come l´ hardware, possiamo notare che le scienze cognitive orientali non sono poi così distanti da quelle occidentali. Dalla parte delle scienze cognitive occidentali infatti, dopo un primo periodo molto proficuo incentrato sulla possibilità di simulare i processi mentali per mezzo dell´ intelligenza artificiale e di potere utilizzare i dati della ricerca per risolvere problemi umani, esse si sono poi inevitabilmente imbattute in un problema fondamentale, come evidenziato da David Chalmers nel 1995: capire se tutto questo information processing umano avvenga o no nel buio, in assenza cioè di ogni percepire interiore. Scrive Chalmers: “ La coscienza pone i problemi più sconcertanti nella scienza della mente. Nulla conosciamo più intimamente dell’esperienza conscia, ma non c’è nulla che sia più difficile da spiegare”. Agostino diceva analogamente – ma con riferimento al problema del tempo: “Quando non me lo chiedono, io so cos’è il tempo, ma quando me lo chiedono, non lo so più”. Per il filosofo della mente Chalmers, non bisogna cadere nel materialismo non ho idea e liquidare la complessità della coscienza umana ad un mero insieme di ipotesi organiciste correlazionali. Esistono problemi “facili” e problemi “difficili” della coscienza scrive Chalmers: “I problemi facili della coscienza sembrano direttamente soggetti ai metodi correnti della scienza cognitiva, attraverso i quali un fenomeno viene spiegato mediante meccanismi computazionali o neurali.” Esempi:
– capacità di discriminare stimoli ambientali e di reagire
– capacità di accedere ai propri stati interni (emozioni, pensieri)
– controllo del comportamento
– differenza tra veglia e sonno
– capacità di riferire i propri stati interni (sensazioni, emozioni, pensieri)
(D. Chalmers, 1995)
Ma rispetto ai problemi difficili, c´e´ ne´ sono alcuni che in occidente siamo riusciti a “risolvere” solo importando le scienze cognitive orientali: il primo e´ il problema di crearci la calma mentale ed un benessere interiore stabile continuando a vivere nelle frenetiche, chiassose città occidentali. Il secondo problema e´ comprendere se esiste effettivamente una dimensione mentale che va oltre il cosiddetto ´Io pensante´ cartesiano. Rispetto al primo problema difficile della coscienza, e´ interessante poter analizzare le storie di occidentali andati in Tibet, soprattutto per motivi di ricerca scientifica. Alcuni neuroscienziati occidentali sono andati ad intervistare alcuni monaci buddhisti nei pressi di Lhasa, l´ ex capitale del Tibet per aver maggior conoscenza degli effetti della meditazione. Un monaco rispose una volta: “i tibetani sono un popolo che non si abbatte tanto facilmente, la loro resistenza e forza d´ animo e´ frutto di secoli di meditazione, o comunque di una fede genuina nel Buddha, accompagnata da un profondo senso di rispetto per la natura che sta attorno a loro”. Continua dicendo: “Certo, nelle montagne del Tibet non succede proprio nulla, in tutta franchezza credo che se di botto i tibetani andassero a trasferirsi un una megalopoli come New York credo che la maggioranza di loro, perderebbe la stabilità e la calma mentale. Tuttavia penso anche che queste città che ci sono da voi sono fantastiche, davvero fantastiche per praticare la pazienza!”.
Questo breve racconto, frutto della mia esperienza di contatto con il popolo tibetano in esilio in Italia, ci serve per connetterci al secondo problema difficile della coscienza, quello del trovare la dimensione mentale al di la´ dell´ Io pensante cartesiano, che al di la´ delle critiche spesso infondate, è utile per sostenere la ricerca tecno-scientifica ed idonea in qualche modo per acculturarsi rispetto al classico stile di vita delle metropoli occidentali. La critica dell´ Io pensante cartesiano al fine di ridimensionarlo e´ un argomento comunque fondamentale in questo modo di intendere la mindfulness, intesa come metodo per coltivare il benessere interiore e la calma mentale. Non si tratta infatti di rinunciare completamente all´ Io pensante, ma di considerarlo in modo critico; in breve il sapersi de-centrare da alcuni contenuti che esso produce (Z. Segal, J. Mark, G. Williams, D Teasdale, 2006). A questo proposito voglio riportare il contributo filosofico di un maestro buddhista vissuto in Italia, l´oramai defunto Ghesce Ciampa Ghiatzo (nome che significa “Oceano di Amore”) che scrisse un testo intitolato Lo specchio delle Immagini Interiori. In questo testo sulla meditazione, introdotto negli anni settanta in Italia, si spiega che la mente e´ come uno specchio che opera giudizi riflettenti delle cose; in essa appaiono i fenomeni della realta´ convenzionale, e la mente naturalmente li riflette. In questo testo, che riprende e parafrasa il LoRig, testo antico di psicologia cognitiva buddhista il cui titolo significa letteralmente “Percepienti e Conoscitori” si spiega che la mente non e´ solo un centro di cognitori inferenziali o valutativi, che sono essenzialmente aspetti secondari della mente, ma che essenzialmente nel suo aspetto primario e diretto: percezione, cognizione e consapevolezza sono sinonimi. Tali termini indicano un unico instante di coscienza diretta non mediata da concettualità e non distratta. La coscienza essenzialmente e´ vista come un flusso infinito di istanti di percezione, sensazione, esperienza a cui si associano gli eventi mentali secondari del pensiero inferenziale e discorsivo il quale puo´ essere sia valido (veritiero) che non valido (falso). E´ questa la cornice filosofica ed epistemologica in cui si puo´ meglio comprendere la pratica mindfulness di John Kabat Zinn, che si centra nell´ osservazione intenzionale, non giudicante dell´ esperienza, di ciò che accade nel momento presente. J. K. Zinn (2005) sostenne che possiamo dire che : “la mindfulness ci fa prendere coscienza gradualmente che, come il Buddha ai suoi tempi, noi esseri umani non abbiamo altro a disposizione che la nostra mente e la nostra esperienza per indagare sulla sofferenza della nostra condizione umana arrivando ad un trattamento della “malattia piu´ pesante” per l´ essere umano, quella prodotta dai tre veleni mentali: brama, avversione e ignoranza/illusione (J. K. Zinn, 2003). Per essere ancora piu´ analitici rispetto a tale dimensione mentale che va oltre, o per meglio dire che sta dietro, l´ Io pensante, citiamo il contributo di D. Legrand (1978) che fa una analisi comparata tra la tradizione filosofica orientale e quella greca-occidentale rispetto a tale tema. Parafrasando Legrand osserviamo che: “E` importante notare che in ambedue le tradizioni filosofiche, quella buddhista e quella greca classica si evidenzia un senso di “I-ness” che e´ un “Io percepiente”(osservante) che nella traduzione greca veniva chiamato Ipseitá con il semplice significato di essere consapevoli. Tale Io osservante-ipseitá , sembra vedere la realta´ e l´idea piu´ che pensarle ed e´ costituito un core-self minimale. Non a caso U. Galimberti, filosofo e psicoanalista italiano sostiene che la parola greca théoria etimologicamente rinvia a théa-visone e orao-vedere; dove nella fusione dei termini si intensifica il senso di quella visione, in sanscrito Vidya, che nella radice vid, da cui il latino videre, si custodisce anche il “segreto” dei Veda (U. Galimberti, 2003). A tale Io osservante si contrappone un Se´ narrativo e autobiografico, ovvero un “Io pensante” che produce narrazioni di se stesso. Tale Se´ narrativo, comprende giudizi categorici o morali, le emozioni, l´ anticipazione del futuro e i richiami del passato. Questo senso esplicito del Se´ narrativo e autobiografico si caratterizza spesso in quanto avviene in correlazione con un contenuto esplicito, o oggetto d´ esperienza. Esso appare come in qualche modo indipendente dall´ Io osservante, soprattutto nei casi di disturbo mentale, dove la distanza tra i due si allarga sempre di piu´, fino a casi clinici di psicosi dove abbiamo un Se´ narrativo completamente falso, delirante e megalomanico, sganciato dalI´ Io osservante- esperienziale. Tuttavia ci appare maggiormente chiaro nei casi di salute psichica, che il Se´ narrativo-autobiografico in qualche modo dipende dall´ Io osservante-Ipseita e la loro distanza è davvero minimale. (D. Legrand, 1978). Tali paradossi della mente evidenti nella psicopatologia, ci spingono a far dialogare le due saggezze filosofiche millenarie, occidentale ed orientale, per scoprire in prima persona, attraverso la meditazione, come stanno davvero le cose. La pratica mindfulness ci porta a raffinare le nostre cognizioni descrittive dirette, non mediate da concettualità, nude e a fresco, facendo in modo che esse maggiormente riflettano fedelmente la realta´ dei fenomeni del campo percettivo relativo a noi stessi. Nella modalità mentale mindfulness (modalità dell´ essere) la mente non ha “niente da fare” e “nessun luogo da raggiungere”, e l´ attività elaborativa puo´ essere riservata all´esperienza momento per momento, il che consente al soggetto di essere pianamente presente e consapevole di ciò che è. (Segal, Williams, Teasdale, 2006). Da qui´ capiamo che la mindfulness, non è in essenza una tecnica di meditazione, sebbene esistano molti metodi e tecniche per coltivarla, bensì un modo di essere o un modo di vedere che comporta un “tornare in se”, in tutti i significati dell´ espressione. Implica il riuscire a diventare piu´ intimi con la propria esperienza attraverso l´ esercizio sistematico dell´ autoosservazione, con una sospensione intenzionale dell´ impulso a definire, valutare e giudicare l´ esperienza. Offre in tal modo l´ opportunità di superare il ricorso automatico a reazione emozionali e processi di pensiero inveterati e perlopiù indiscussi (J.K. Zinn, 2003 in Segal, Williams, Teasdale, 2006)
Piu´ di recente altri due fattori “core” (centrali) hanno portato alcuni autori piu´ ad arricchire il concetto di mindfulness classico, sotto l´aspetto psicoeducativo. Essi sono il riconoscimento dell´esigenza della compassione, cosa che ripensa la mindfulness anche come pratica di “mindful self-compassion” e l´ esigenza di avere una definizione piu´ allargata della consapevolezza nei metodi cognitivi-comportamentali, cosa che porta alcuni a ripensare la mindfulness come “mindful self-awareness”. Tali autori in sintesi tentano di apportare e difendere l´idea, che per star psicologicamente bene, o meglio, per far funzionar bene l´ abilità di mindfulness, dobbiamo anche coltivare in noi stessi l´emozione della compassione, della tolleranza profonda per noi stessi, oltre che per gli altri. Riguardo al bisogno di auto-compassione, infatti notiamo in situazioni di intensa sofferenza emotiva che quando le cose nella vita vanno male tendiamo ad essere piu´ lenitivi verso gli altri che verso noi stessi. In tali casi di sventura, diventiamo spesso ipercritici verso noi stessi, ci autoaccusiamo, ci auto-danneggiamo oltre misura, ci addossiamo colpe in modo totale, quando in realta´ abbiamo spesso solo un 10% di responsabilità della condizione avversa che ci e´ capitata. In questo contesto, per prima cosa dovremmo cominciare a meditare sulla compassione verso noi stessi e poi estenderla agli altri. Christopher Germer, Kristin Neff propongono i seguenti punti di meditazione analitica nel loro training Mindful Self Compassion:
- Aprirsi al dolore piu´ pienamente, non baipassandolo
- Riferirsi a se stessi in modo gentile, non valutandoci in modo competitivo rispetto agli altri
- Essere contenti di se stessi, della propria buona volontà. La auto-compassione implica coraggio, motiva al cambiamento, dandoci risorse emozionali per apprendere e crescere
- Essere indulgenti verso se stessi, alleviare la propria sofferenza scegliendo la salute ed il benessere a lungo termine piuttosto che l´edonismo a breve termine
- Pietà per se stessi, ovvero entrare nel proprio dolore ma non sguazzarci dentro autocommiserandosi
- Combattere di meno con se stessi, ma assecondarsi
- Egoismo Intelligente: come il primo passo per la compassione verso gli altri
- Filosofia della felicita´: riflessione sul fatto che siamo nati con il desiderio di essere felici ed essere liberi dalla sofferenza. La self-compassion ci ricorda tale desiderio originario e ci aiuta a vivere in accordo a questo.
(C. Germer, K. Neff, in Tania Singer, Matthias Bolz, 2013)
Thich Nhat Hanh, un importante maestro zen a proposito della compassione scriveva: “Comprensione e compassione sono fonti di energia molto potenti; sono l´opposto della stupidità e della passività´. Se consideri la compassione un sentimento passivo, debole o codardo vuol dire che non sai cosa sia la vera comprensione, la vera compassione. Se pensi che le persone compassionevoli non oppongano resistenza all´ ingiustizia, non sfidino, ti sbagli: sono guerrieri, invece, eroi ed eroine che hanno riportato molte vittorie.” (Thich Nhat Hanh, 2001)
A tal proposito, e´ utile a scopo biblioterapeutico il riportare la tecnica mindfulness di Tuphten Jimpa (Phd in filosofia occidentale e studi religiosi a Cambridge ed ex monaco buddhista tibetano), per coltivare la “mindful self-compassion” (la consapevolezza e compassione per se stessi) estratta dal suo Compassion Cultivation Training:
prima parte stabilizzante della meditazione mindfulness self-compassion practice
- Assumi la posizione del mezzo loto, con le gambe incrociate o seduto con la schiena dritta su una comoda sedia, dritta come una pila di monete:
- rilassa la schiena e i muscoli del collo, allenta un po´ i muscoli della mandibola, poggia la lingua sul palato, poggia le mani in posizione meditativa o sopra le gambe, socchiudi gli occhi, rilassa lo sguardo, metti le gambe in posizione idonea.
- Porta la consapevolezza o l’attenzione sulla zona appena sotto le narici che comprende la bocca ed il mento.
- Osserva senza concettualizzare il flusso spontaneo del respiro: metti il 25% dell’attenzione nella zona appena sotto le narici, una attenzione selettiva, il restante 75% dell’attenzione va posta rilassata nel mondo esterno, ed al corpo e´ una attenzione aperta.
- Inspira dal naso lentamente e profondamente ed espira dalla bocca lentamente e profondamente. Nel mentre inspiri puoi anche pensare “inspiro” e nel mentre espiri dalla bocca puoi anche pensare “espiro”.
- Rimani ad osservare il respiro per un po´ dalla zona appena sotto le narici, rimanendo vigile e consapevole, non alimentare il pensiero discorsivo, non concettualizzare, non riflettere o elaborare: osserva con il restante 75% dell´ attenzione la mente e prendi nota dei pensieri, emozioni, immagini e ricordi: riconoscili, se è necessario, quando sono eccessivamente intrusivi nominali: “questo è il tale, ora è sorto”, poi torna senza soffermarti con gentilezza ad osservare il flusso spontaneo del respiro.
seconda parte (analitica) della meditazione mindfulness self-compassion practice
- Pensa a qualcuno a cui tieni molto, immagina di essere con lui e nota come ti senti quando sei con lui o loro
- Nota i sentimenti positivi che questa persona evoca, sentimenti di calore, affetto genuino, amore
- Pensa o immagina una volta che questa persona ha sofferto in qualche modo e nota i sentimenti che hai e recita dentro di te: “possa tu essere libero dalla sofferenza”
- Ora immagina te stesso come un ragazzo molto giovane, o un bambino. Se questo bambino era in pericolo cosa provavi per lui e ripeti: “possa tu essere libero dalla sofferenza, rabbia, paura e possa tu sperimentare la gioia”
- Offri al bambino che hai immaginato essere te stesso, gli stessi sentimenti di amore e di affetto che davi alla persona amata. Recita dentro di te: “Possa io essere libero dalla sofferenza, possa io essere libero da paura e rabbia, possa io conoscere pace e gioia.
- Creare una immagine della mente che rappresenta la saggezza, la forza, l´accettazione e l´ amore, la compassione incondizionata ed il prendersi cura. Puo´ essere una immagine di una persona che rispetti in profondamente, una figura religiosa, un simbolo della natura come il sole, un grande albero o l´oceano.
- Immagina te stesso in presenza di questa fonte luminosa, e tu di fronte ad essa puoi essere completamente te stesso. Non c´e´ giudizio, ma solo accettazione totale
- L´ Immagine visualizzata (ad esempio il sole con la sua luce ed il suo calore) risveglia in noi forza, saggezza e compassione.
(estratto da Tuphten Jimpa Phd, in Tania Singer, Matthias Bolz, 2013).
Infine, l´ ultimo aspetto della mindfulness intesa come pratica psicologica, filosofica ed educativa di coltivazione della calma mentale e del benessere interiore, e´ quella che vede la mindfulness anche come mindful-self-awareness centrata sul concetto di “embodied mind”. Qui´ la mindfulness è considerata e ripensata in modo piu´ allargato, ovvero come una modalità di consapevolezza (mode of awareness) descrivibile attraverso un modello a due componenti. La prima riguarda l´ autoregolazione dell´ attenzione, che è mantenuta sull´ esperienza immediata e perciò favorisce un maggior riconoscimento degli eventi mentali nel momento presente. La seconda componente implica l´ adottare un particolare orientamento verso la propria esperienza nel momento presente, un orientamento caratterizzato da curiosità´, apertura e accettazione (S. Bishop et al, 2004). Un riferimento euristico essenziale a riguardo e´ costituito dal lavoro di Francisco Varela biologo, filosofo e neuroscienziato che nel 1987 insieme ad Adam Engle, fondò il Mind and Life Institute (MLI), inizialmente per sponsorizzare una serie di dialoghi tra gli scienziati e Sua Santità Il Dalai Lama sulla relazione tra la scienza moderna e il buddismo. Il punto di svolta che ha impresso in una nuova direzione il rapporto tra scienze della mente occidentali e pratiche contemplative fu la pubblicazione nel 1991 del libro di Varela e collaboratori intitolato The Embodied Mind, Cognitive Science and Human Experience. L´ approccio “enattivo” di Varela in breve vuole superare la distinzione tra soggettivo e oggettivo nella cognizione umana. Enaction, significa che il corpo non appare in funzione di semplice contenitore della mente, ma in rapporto di continuità fenomenologica con le azioni della mente stessa. In breve Varela sulla base di esperimenti che dimostrano la fondatezza del costruttivismo, avanza l´ ipotesi che le azioni mentali verbali e fisiche che il soggetto compie modificano anche se in modo spesso impercettibile la struttura di base di fondo della mente e forse anche aspetti del DNA. Nella concezione neurofenomenologica di Varela infatti, Il soggetto si ri-costruisce e si ri-costituisce continuamente attraverso la sua percezione-azione nel il mondo. Varela vuole in breve dimostrare una ipotesi di cui tutti i praticanti mindfulness, seppur con differenze di sfumatura di visione, sono convinti: la coscienza non ha sede nella testa del singolo individuo, sebbene non c´e´ nulla di male a rappresentarsela in tal modo. La coscienza nell´ ipotesi neurofenomenologica e´ una emergenza che si verifica all´ interno dei tre cicli di connessione della coscienza con il corpo, con il mondo e con gli altri. Da cio´ deriva anche e soprattutto l´ attenzione di Varela per la facoltà dell´ empatia come regolatore della facoltà morale, fattore mentale che insieme alla compassione ci connette e ci sintonizza con gli altri e ci permettendoci di co-evolvere come specie. A questo proposito Charles Darwin, anche se con un linguaggio differente rispetto a quello di Varela, metteva già in connessione empatia, moralità ed evoluzione. Darwin scriveva che: “ un essere morale, e´ colui che e´ in grado di riflettere sulle sue azioni passate e sulle loro motivazioni, di approvarne alcune e disapprovarne altre; e il fatto che l´ uomo merita certamente questo appellativo costituisce la distinzione tra lui e gli animali inferiori (C. Darwin, 2009). Alan Wallace, filosofo della scienza e fisico, rispetto al miglioramento qualitativo del livello di connessione della coscienza con il corpo, il mondo e gli altri parla di familiarizzarsi in meditazione con un livello della mente appena sotto la soglia della coscienza a cui possiamo attribuire tutta quella matrice generativa dei pensieri, emozioni e sensazioni che possiamo osservare quando pratichiamo la mindfulness: la mente substrato. La mente substrato, e´ un livello vasto e dinamico della mente ma conoscibile con un po´ di addestramento alla meditazione. E´ in breve il livello della coscienza dove si generano le apparenze, i pensieri, le emozioni di base secondo una logica naturale di ´sorgere dipendente´. Tale meccanismo interiore di sorgere dipendente risponde ad una logica di contatto naturale tra le sei coscienze sensoriali e l´oggetto di tali coscienze (la coscienza mentale può essere considerata un senso a tutti gli effetti) e puo´ essere sia positivo, nel senso che dal fare esperienza di un fenomeno, si generano internamente pensieri ed emozioni piacevoli, logici e costruttivi, viceversa negativo, nel senso che dal fare esperienza di un fenomeno (ad esempio l´ascolto della voce di un dato individuo), si possono anche generare naturalmente pensieri ed emozioni spiacevoli, disfunzionali, illogici e potenzialmente distruttivi. E´ interessante notare il parallelismo, rimanendo nel tema del dialogo tra oriente ed occidente, che tale concezione di Wallace della coscienza substrato ha con quella di Aristotele piu´, il quale vedeva l´ intelletto umano come un Nous Poietikos soggettivo e un Nous Poietikos “oggettivo”- Il primo e´ l´intelletto attivo e produttivo. In un linguaggio contemporaneo potremmo dire l´ elaboratore delle informazioni e il generatore delle emozioni e dei pensieri. Il nous è infatti implica la capacita´ di intuire le intenzioni altrui, che genera la capacita´ di giudizio che e´ alla base della cognizione sociale e dell´ ambientale. Il poietikos si riferisce invece al fatto che in dipendenza dalla qualita´ della percezione-comprensione-valutazione della realta´ corrisponde la generazione di comportamenti, emozioni, pensieri e atteggiamenti congruenti. Nelle parole di Aristotele il nous poietikos, come un substrato mentale sopravvive “fuori dall´ intelletto”, e´ incorruttibile e permette alle percezioni che in potenza di diventare percezioni in atto.
Tuttavia, nonostante i grandi entusiasmi, riguardo alla pratica della mindfulness rispetto a tali livelli della coscienza, autori come Wallace ci fanno anche notare comunque che non dobbiamo illuderci troppo e pensare che avremo risultati di benessere interiore veloci: “ lo samatha, se desiderate portarlo a termine, richiede un ambiente sereno e favorevole, una buona dieta, attività fisica appropriata e pochissime preoccupazioni. Le condizioni interiori necessarie sono le seguenti: pochissimi desideri, poche attività, e pochi interessi, contentezza, una disciplina etica pura ed essere privi di pensieri ossessivi e compulsivi”. Dice anche: “ sono convinto che oggi il conseguimento dello shamata, la calma dimorante, e´ così raro perche´ queste circostanze sono molto rare.” (A. Wallace, 2001). Per dare forza alle parole di Wallace, voglio riportare una esperienza di integrazione tra la mindfulness il gruppo psicologico classico e i fondamenti della filosofia occidentale che ho fatto personalmente, a Berlino, città famosa per le sperimentazioni e le avanguardie scientifiche ed artistiche. Ho tentato di integrare il metodo Mindfulness (MBSR) di J. K. Zinn con la terapia cognitiva di gruppo (in Germania lo psicologo clinico puo´ a tutti gli effetti fare terapia psicologica) per pazienti con disturbi psichici gravi, tentando di richiamare al suo interno anche i fondamenti meditativi del pensiero occidentale. Questa sperimentazione clinica non puo´ avere il valore di una vera e propria ricerca scientifica, però ha di sicuro un valore clinico di ricerca qualitativa, e mi ha disconfermato l´ ipotesi che la mindfulness possa essere una tecnica di trattamento efficace di gestione e riduzione dello stress valida per tutti i disturbi mentali. Il gruppo è stato concepito e condotto da me su richiesta del mio tutor (uno psicoterapeuta psicodinamico) presso il KommRum, centro di counseling psicosociale & psichiatria sociale di Berlino. Il gruppo era composto di cinque pazienti di cui due con disturbo depressivo maggiore, uno con disturbo d´ansia generalizzato grave e due con psicosi schizofrenica: uno a carattere paranoide l´ altro a carattere mistico-religioso. Dei cinque pazienti, in un periodo di circa tre mesi di trattamento riabilitativo a tecnica eclettica (mindfulness- terapia cognitiva-consulenza filosofica) è stato impossibile per me riuscire a far meditare gli psicotici. Non appena spiegavo che la tecnica mindfulness consisteva nel sedersi a gambe incrociate, socchiudere gli occhi, stare in silenzio e osservare il proprio respiro e i pensieri che transitavano nello schermo della mente, immediatamente i pazienti psicotici fuggivano spaventati dal gruppo. Ricordo in particolare una paziente del gruppo con diagnosi di psicosi schizofrenica paranoide che mi disse in modo estremamente spaventato: “non tollero di osservare dentro la mia mente, preferisco parlare, parlare e parlare”. Alla mia domanda: “per quale motivo non tolleri?”. Lei, dopo un po´ di esitazione rispose: “mi sento perseguitata, tutti mi guardano male e complottano contro di me”. Tuttavia i pazienti con disturbo d´ ansia e depressione hanno reagito piuttosto bene alla pratica della mindfulness, ottenendo una riduzione dello stress, anche se spesso una paziente del gruppo con depressione grave mentre meditava mi diceva: “l´ umore negativo per me è così forte, che è come una nuvola che mi annebbia la mente e non mi permette di meditare”.
In generale si puo´ dire che i pazienti ansiosi e depressi siano stati i soli che abbiano beneficiato della pratica mindfulness associata alle tecniche espressive-catartiche-dialogiche proprie della terapia di gruppo rispetto ai pazienti psicotici che a causa della loro condizione di disabilità mentale o come dicono alcuni di “disagio psichico”, non sono riusciti nemmeno a fare un solo minuto di meditazione. Questo mi ha fatto prendere coscienza che la mindfulness è una tecnica utile nei casi di ansia e depressione, ma abbastanza inutile nei trattamenti delle psicosi.
In conclusione da tali riflessioni nel loro complesso ci deriva sicuramente un idea di mindfulness come training psicoeducativo generale delle abilita´ di attenzione e consapevolezza che ci dà possibilità reali di coltivare la calma mentale ed il benessere entro i limiti imposti e dai contesti urbani, dalle nostre emozioni, e dal livello di gravità dei disturbi mentali. Pertanto da una prospettiva maggiormente psicoeducativa della mindfulness ci focalizzeremo maggiormente su:
- Una educazione psico-cognitiva alla consapevolezza intesa come struttura portante di processi cognitivi e affettivi validi, logici, funzionali e la connessione tra questi e i modelli di comportamento etici e costruttivi.
- Allenamento alla meditazione intesa come pratica di coltivazione graduale della calma mentale e del benessere interiore.
- Esercizi interattivi e meditativi anche diadici che sono finalizzati a elicitare stati mentali e corporei piacevoli: meditare non significa solamente star seduti come il Buddha, ma anche e soprattutto pensare ed agire in uno stato di calma mentale e consapevolezza.
- Allenamento meditativo classico in posizione seduta, che include guide a tecniche di meditazione specifiche che potenziano la calma mentale, l´attenzione discriminante rivolta alle emozioni ed ai pensieri, la facoltà intuitiva e il senso della compassione per se stessi e per gli altri.
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